Sentenza n. 50 del 1975
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SENTENZA N. 50

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 156 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 17 gennaio 1973 dal pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Genovese Marilena ed altri, iscritta al n. 382 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 294 del 14 novembre 1973;

2) ordinanza emessa il 31 gennaio 1974 dal pretore di Prato nel procedimento penale a carico di Giugni Silvia e Catanese Claudio, iscritta al n. 125 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 133 del 22 maggio 1974.

Udito nella camera di consiglio del 9 gennaio 1975 il Giudice relatore Luigi Oggioni.

Ritenuto in fatto

Nel procedimento penale a carico di Genovese Marilena e altri, imputati del reato di cui all'art. 156 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), per avere organizzato questue senza la prescritta autorizzazione, il pretore di Torino, con ordinanza 17 gennaio 1973, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 156 suddetto, per presunto contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 39,40 e 49 della Costituzione.

Sostanzialmente, il giudice a quo sostiene nell'ordinanza che, secondo la disposizione impugnata, l'autorizzazione non può essere concessa per le questue effettuate, come nel caso, a favore di organizzazioni politiche o per motivi politici. Con ciò la norma si porrebbe in contrasto con i diritti di libertà politica e sindacale riconosciuti dagli artt. 39, 40, 49 della Costituzione, giacché tale riconoscimento postulerebbe la liceità della raccolta di mezzi finanziari necessari all'esercizio delle dette libertà. La limitazione censurata contrasterebbe anche con l'art. 3, secondo comma, Cost., per la ingiustificata disparità di trattamento che in tal modo si concreterebbe a favore delle questue organizzate per motivi di beneficenza, consentite dalla norma impugnata, mentre, come si é detto, sono escluse quelle che risentono comunque di una impostazione politica, anche se dirette a scopi di sollievo di situazioni di disagio.

In analogo procedimento penale a carico di Giugni Silvia e Catanese Claudio, il pretore di Prato, con ordinanza 31 gennaio 1974, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato art. 156, per preteso contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 19, 21, 38, 39, 49 della Costituzione.

Nell'ordinanza il giudice a quo, nell'illustrare i detti profili di illegittimità, premesso che, nel caso, si era trattato di questua organizzata per un soccorso "rosso" a favore di "compagni incarcerati", osserva che, pur essendo stati detti profili già ritenuti infondati con la sentenza n. 12 dell'anno 1972 di questa Corte, se ne imporrebbe un riesame sulla base di considerazioni che dovrebbero contrapporsi a quelle contenute nella motivazione dell'ora citata sentenza.

In particolare, a proposito della pretesa violazione dell'articolo 3 Cost., il pretore osserva che la discrezionalità dell'autorità di pubblica sicurezza nel rilascio delle autorizzazioni, consentirebbe l'arbitrio, in quanto il potere di concessione o rifiuto dovrebbe essere delimitato meglio di quanto non avvenga per effetto della norma impugnata, la quale consentirebbe difformi interpretazioni sulla riconducibilità delle fattispecie concrete alle categorie di questue ammissibili. Tale difetto non sarebbe sanato, come afferma invece la citata sentenza della Corte, dall'obbligo della motivazione del rifiuto, che, a dire del pretore, potrebbe essere solo formale, né dalla possibilità di impugnazione, che costituirebbe un rimedio oneroso e, comunque, tardivo.

Neppure convincenti sarebbero gli argomenti addotti dalla Corte a proposito della lamentata discriminazione a favore delle questue per motivi religiosi, esclusa a suo tempo, con la detta sentenza, in riferimento all'art. 7 Cost., poiché con ciò non potrebbe in ogni caso giustificarsi la prospettata infrazione del principio di eguaglianza, il quale sarebbe pur sempre vincolante per il legislatore ordinario, e potrebbe essere violato nel caso di questue religiose svolte da civili per scopi che non rientrano fra quelli ammessi dall'art. 156, e, quindi, precluse al semplice cittadino. Neppure accettabile sarebbe la giustificazione della predeterminazione delle ipotesi di questue autorizzabili contenute nella norma impugnata, che la Corte ha riconosciuto essere riservata al legislatore. Tale criterio, secondo il pretore, apparirebbe insufficiente di fronte alla continua evoluzione degli interessi meritevoli di considerazione ai quali le questue rispondono e la cui predeterminazione in una ristretta casistica, mal si concilierebbe con i principi della libera dialettica democratica.

Circa la non necessaria strumentalità delle questue in relazione all'esercizio dei diritti di libertà di cui agli artt. 18, 19, 21, 39, 49 Cost., rilevata dalla Corte per escludere la violazione di tali norme, osserva che l'argomento non sarebbe sufficiente ad escludere il lamentato vizio della disposizione impugnata, poiché la raccolta di fondi in molti casi rappresenterebbe, invece, l'unico mezzo al fine suddetto, onde l'abolizione del divieto costituirebbe, anzi, attuazione del principio sancito dall'art. 3 Cost., là dove dispone che debbano rimuoversi le disuguaglianze, anche di carattere economico, che impediscono al cittadino il libero sviluppo della personalità e la partecipazione alle organizzazioni politiche, economiche e sociali.

Riguardo alla pretesa violazione dell'obbligo di solidarietà, garantito dagli artt. 2 e 38 Cost., apparirebbe incongruo, secondo il pretore, rimettere, come ha fatto la Corte, la determinazione dei metodi e dei limiti dall'attuazione dell'obbligo stesso al legislatore, che potrebbe non corrispondere con la necessaria immediatezza al sorgere delle esigenze sociali relative.

Infine, l'avere escluso che la disposizione impugnata contrasti col principio della libertà dell'assistenza privata perché le questue per motivi di beneficenza, che sono ammesse, comprendono anche le raccolte di fondi a scopi assistenziali, lascerebbe arbitra l'autorità di p.s. di adottare interpretazioni restrittive in materia, e non costituirebbe quindi sufficiente giustificazione del rigetto della questione.

Non vi é stata costituzione di parti in giudizio.

Considerato in diritto

1. - L'identità delle questioni, sollevate con le due ordinanze in epigrafe, ne rende opportuna la loro riunione per decidere in un unico contesto.

2. - L'ordinanza del pretore di Torino e quella del pretore di Prato ripropongono profili di illegittimità della norma impugnata che sono già stati esaminati dalla Corte con le sentenze nn. 2 del 1957 e 12 del 1972 e dichiarati non fondati.

Solo nell'ordinanza del pretore di Torino, si sostiene che la esclusione della facoltà di autorizzare la questua effettuata per scopi politici, contrasterebbe con l'art. 40, oltre che con gli artt. 39 e 49 della Costituzione. La Corte a suo tempo ha portato il suo esame su censure sollevate in relazione ai due ultimi articoli citati, ma il nuovo profilo rientra tuttavia nell'ambito della soluzione più generale data a quello concernente appunto la pretesa violazione della libertà di lavoro, di associazione sindacale e di associazioni in partiti, già esaminato dalla Corte nelle sue sentenze sopra citate e dichiarato non fondato. La questione sollevata in relazione all'art. 40 Cost. riguarda, invero, la presunta infrazione della libertà di sciopero che deriverebbe dalla impugnata regolamentazione delle questue, intendendosi evidentemente tale libertà limitata illegittimamente dalla denegata facoltà di raccogliere fondi pro scioperanti. É però da ricordare che la Corte ha respinto le censure a suo tempo sollevate, riconoscendo con la sentenza n. 2 del 1957 che i diritti di libertà sanciti dalla Costituzione non possono svolgersi nelle loro concrete manifestazioni senza limiti e controlli, precisando anche con la sentenza n. 12 del 1972, che appartiene alla prudente scelta del legislatore ordinario la valutazione delle varie ipotesi concrete di esercizio delle questue e della relativa regolamentazione, ai fini del più opportuno contemperamento dell'uso della facoltà in esame con la salvaguardia degli altri interessi collettivi degni di tutela. Dette considerazioni, per la generalità della loro portata, sono indubbiamente valide anche in relazione al profilo di illegittimità dedotto in relazione all'art. 40 concernente in sostanza un ulteriore aspetto della già disattesa violazione dei diritti di libertà economica e politica. Pertanto, anche la censura in esame va dichiarata infondata.

3. - Per quanto riguarda, poi, le osservazioni mosse nell'ordinanza del pretore di Prato alla motivazione della sentenza n. 12 del 1972, trattasi di rilievi non tali da potere indurre la Corte a discostarsi da tale precedente e recente decisione.

Basta, in proposito, considerare che le obiezioni circa la inidoneità della motivazione del provvedimento negativo della pubblica sicurezza e della impugnazione dello stesso, quali garanzie contro l'arbitrio dell'autorità amministrativa, se fossero valide, postulerebbero l'illegittimità della legislazione in materia di giustizia amministrativa, che appunto si fonda, ai fini della tutela del cittadino, proprio sull'obbligo della motivazione dei provvedimenti e sulla correlativa possibilità di impugnazione degli stessi.

4. - Sul punto della esclusione della fondatezza della censura, mossa per presunta violazione del principio di eguaglianza, in relazione alla preferenza accordata alle questue per motivi religiosi, la Corte ha già esaurientemente motivato con la sentenza su richiamata n. 12 del 1972 affermando l'ammissibilità di deroghe al principio di eguaglianza, in quanto vengano richieste dagli impegni derivanti dal Concordato, sia pure entro determinati limiti, e le obiezioni mosse dal pretore su tale punto nulla aggiungono ai termini della questione, così come é già stata risolta dalla Corte.

5. - Neppure può apparire accoglibile l'argomentazione critica svolta a proposito della insufficienza della soluzione già adottata dalla Corte con riguardo alla pretesa violazione dell'art. 3 Cost. per effetto della assunta irrazionalità della prede terminazione di una casistica delle questue ammissibili. Questa Corte ha già affermato che tale casistica risponde ad esigenze la cui valutazione può essere convenientemente effettuata solo dal legislatore, né é da ritenere che la pur indubbia, continua evoluzione degli interessi meritevoli di tutela cui le questue possono corrispondere, sia circostanza tale da invalidare questo criterio, come sembra ritenere il giudice a quo.

L'ora esposto argomento vale anche per quanto riguarda la pretesa intempestività con cui il legislatore potrebbe tradurre in norme positive le sopravvenute esigenze di adempiere l'obbligo di solidarietà sociale posto dagli artt. 2 e 38 Cost., intempestività in relazione alla quale potrebbe disattendersi la motivazione della sentenza della Corte, là dove ha già escluso l'esistenza di tale preteso vizio, osservando che al legislatore soltanto spetta di stabilire i modi ed i tempi del detto adempimento.

Egualmente irrilevante é l'osservazione, secondo cui le questue potrebbero costituire l'unico strumento per l'effettivo esercizio degli invocati diritti di libertà, onde la liberalizzazione delle stesse sarebbe imposta dal precetto sancito dall'articolo 3 Cost., secondo cui la Repubblica ha l'obbligo di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Invero, il menzionato precetto non esclude che si provveda all'obbligo suddetto attraverso una normativa che, come quella in esame, preveda particolari modalità dettate dall'esigenza di contemperare interessi vari e contrapposti, tutti meritevoli di tutela secondo un apprezzamento che, come già si é detto, la Corte ha ritenuto di competenza del legislatore ordinario. Così come si é provveduto mediante legge (20 maggio 1970, n. 300) a riconoscere (art. 26, comma primo) ai lavoratori il diritto di raccogliere, all'interno dei luoghi di lavoro, contributi adiuvativi (diversi dai contributi sindacali in senso proprio, sui quali dispone il comma secondo). La legittimità della predeterminazione da parte del legislatore dei tipi di questue ammissibili si riflette, poi, per escluderne la fondatezza, anche sulla censura formulata in relazione agli artt. 18, 19 e 21 Cost., che sono invocati a tutela di forme di libertà, già riconosciute implicitamente limitabili in applicazione della suddetta facoltà discrezionale del legislatore.

6. - Inattendibile é, anche, l'ultimo argomento con cui si contesta la motivazione già sviluppata dalla Corte laddove si é negata la pretesa violazione dell'art. 38 Cost. col richiamare l'inclusione fra le questue ammesse per motivi di beneficenza anche di quelle per scopi assistenziali, il che ovviamente garantisce l'osservanza del principio della libertà dell'assistenza privata di cui al predetto art. 38.

Si sostiene, infine, che l'autorità di p.s. resterebbe arbitra di adottare interpretazioni restrittive ai fini di identificare le questue ammissibili, il che darebbe adito a possibili violazioni della libertà invocata. Ma é ovvio che all'accoglimento di tale tesi si oppongano le considerazioni già sopra svolte riguardo alla garanzia che, contro eventuali deviazioni interpretative della p.s., sono apportate dall'obbligo della motivazione e dal diritto di impugnazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 156 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), sollevata dai pretori di Torino e Prato con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 19, 21, 38, 39, 40 e 49 della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO –Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI  - Nicola REALE -  Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO

 

Depositata in cancelleria il 6 marzo 1975.